Kipchoge-Bekele, se la sfida è stellare

17 Gennaio 2020

Nella maratona di Londra l'atteso faccia a faccia tra il primatista del mondo e il secondo di sempre. Il racconto di altri duelli che hanno lasciato il segno

di Giorgio Cimbrico

La maratona di Londra assomiglia sempre più a quei Gran Derby di Maratona che andavano in scena a New York o nei suoi sobborghi balneari nel primo scorcio del secolo scorso e l’adesione di Kenenisa Bekele trasforma il 26 aprile in una data che riserverà le emozioni consentite quando due colossi si scontrano, per di più con il contorno di chi, Geremew e Wasihun, nella scorsa edizione misero alla frusta Eliud Kipchoge, obbligandolo a esprimersi a meno di un minuto dal suo vertice.

Kipchoge, l’uomo che ha violato le colonne d’Ercole delle due ore e per due volte di fila ha ottenuto il riconoscimento di Atleta dell’Anno, punta alla quinta vittoria nella corsa da Greenwich a Buckingham Palace ed è la quinta volta che, in strada, incrocia Bekele: per il keniano la serie è immacolata.

Qualche osservazione: è una sfida tra veterani (Kipchoge, 36 a novembre, Bekele, 38 a giugno), tra primatisti del mondo (Kipchoge dei 42 km, Bekele dei 5000 e dei 10.000) e tra chi occupa il primo e il secondo posto nella classifica di tutti i tempi, divisi da due secondi (2h01:39 Eliud, 2h01:41 Kenenisa). Il tempo dell’etiope è ancora piuttosto fresco di conio, realizzato lo scorso anno a Berlino nel periodo dei Mondiali di Doha. Il duello potrebbe ripetersi a Sapporo, quando Kipchoge inseguirà il suo secondo titolo olimpico e il titolo, per certi versi già attribuito, di massimo maratoneta di sempre.

La storia dell’atletica ha prodotto e proposto grandi sfide, attesi faccia a faccia, molto spesso in occasione di appuntamenti ufficiali, Olimpiadi, Europei, Giochi del Commonwealth e, dall’83, Mondiali. Londra è il magnifico prodotto di un’intrapresa di tipo “privato” ed è in questo campo che abbiamo deciso di operare una ricerca, a volo d’uccello, per ritrovare altre sfide che hanno lasciato il segno. Andando per ordine cronologico…

Il miglio di Dublino, 6 agosto 1958: l'irlandese Ron Delany era diventato campione olimpico dei 1500 due anni prima a Melbourne, Herb Elliott era l’astro nascente. L’uomo del Western Australia prese la testa, così come avrebbe fatto a Roma due anni dopo, e andò a vincere in 3:54.5 abbassando il record del mondo di Derek Ibbotson di 2.7 (il più grande progresso della storia), trascinando il connazionale Mervyn Lincoln a 3:55.9, vale a dire sotto il vecchio record, e sia Delany che Murray Halberg a 3:57.5, negli immediati pressi. Quattro anni dopo l’impresa di Bannister, cinque atleti in un colpo (il quinto era un altro australiano, Albert Thomas) erano andati sotto il muro dei 4 minuti.

Il miglio di Kingston, 17 maggio 1975: fedele al suo schema preferito (from gun to tape, dalla pistola alla linea d’arrivo) Filbert Bayi fece corsa di testa costringendo la coalizione Usa, formata da Marty Liquori, Rick Wohlhuter e Tony Waldrop e rinforzata da Eamonn Coghlan, irlandese trapiantato in America e maestro nelle gare indoor, a un lungo e infruttuoso inseguimento. Bayi, in 3:51, migliorò di un decimo il mondiale di Jim Ryun, e riunì nelle sue mani i primati di 150 e miglio.

L’asta di Roma, 31 agosto 1984: Thierry Vigneron era stato il primo a spingersi a 5,80 e proprio a Roma un anno prima aveva portato il record a 5,83. L’irruzione di Sergey Bubka, campione del mondo a sorpresa a Helsinki, coincise con una raffica di limiti, indoor e all’aperto, sino ai 5,90 di Londra. Il duello dell’Olimpico va ricordato anche per un curioso - e unico - dato statistico: tra le 22.40 e le 22.50, Vigneron, con 5,91, tornò primatista del mondo, l’ultimo prima di un dominio dell’ucraino che ebbe durata quasi trentennale. Sergey offrì un paio di azzardi (rinuncia sia a 5,81 che a 5,91 dopo un primo errore), centrò il 5,94 del record al primo assalto e concesse a un pubblico in ebollizione tre salti a una quota che fece bramire i presenti: 6,00.

I 1500 di Nizza, 15 luglio 1985: la gara e il suo significato nell’ultimo fotogramma. Steve Cram brucia Said Aouita, 3:29.67 a 3:29.71. Nessuno aveva mai infranto il muro dei 3:30. Ora, meeting Nikaia, sono in due, l’airone di Gateshead e il piccolo principe del deserto. Serata memorabile: il terzo, lo spagnolo José Luis Gonzalez, in 3:30.92, va vicino al vecchio record di Steve Ovett, 3:30.77. Poco più di un mese dopo, a Berlino, Said, detto il Kaid, toglierà 21 centesimi, lasciando lontano Sydney Maree.

I 400hs di Zurigo, 29 agosto 2019: in fondo alla sua corsa pazza e generosa, Karsten Warholm regala a Rai Benjamin un singolare corona: con 46.98 l’americano con radici famigliari ad Antigua, diventa il più grande perdente della storia, di più, il primo ad esser sceso sotto la barriera concessa a un club esclusivo (solo quattro ne fanno parte) senza passare per primo tra le fotocellule. Warholm è sei centesimi davanti, con il terzo primato europeo in un’annata indimenticabile, chiusa con la seconda corona mondiale. Fosse stato presente anche un Samba in piena efficienza, cosa sarebbe successo quella sera al Letzigrund?

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