Usain, il fulmine: 19.19 dieci anni fa

20 Agosto 2019

“Bolt, Legend”: a Berlino, il 20 agosto 2009, lo sprinter giamaicano toglie undici centesimi anche al suo primato mondiale dei 200 metri

di Giorgio Cimbrico

20 agosto 2009, quando il sole rosso va giù, arriva il sole giallo e lui con quelle sue mani dice: “Ora parto, ora decollo”. E quando il francese Alerte fa una falsa, Usain Bolt fa roteare gli occhi, recita la parte del preoccupato. E allo sparo buono se ne sta rintanato un attimo sui blocchi, non si sa mai, tanto risucchiarli in curva è un attimo e non sarà difficile liberare la potenza. E va così, tutto eseguito alla perfezione, senza disperdere un gesto, senza concedersi una marcia trionfale, o gesti sfrontati. Sino in fondo. Più veloce che a Pechino: 19.19, undici centesimi strappati via, proprio come sui 100 di quattro giorni prima, il suo sesto record del mondo. Deve esser stordito di gioia: lui nasce duecentista bambino prodigio e deve attraversare un lungo corridoio di infortuni, di delusioni, prima di metter le mani su qualcosa di solido, l’argento di Osaka 2007 quando era Tyson Gay il faro. E ora Gay non lo ricorda nessuno. Il secondo dei 100, vero? Con un gran tempo, ma dietro un metro e mezzo.

Ora c’è solo Bolt che continua a esser lieve come un gas esilarante, che si butta a terra ma non a X, in modo quasi drammatico come a Pechino dove cancellò Michael Johnson, un record che sembrava dovesse durare millenni. Ora, giusto una sosta sulla gomma per un sorriso, per rialzarsi subito e organizzare un duetto con la mascotte. Chi fa meglio l’arciere? Ich bin ein berliner, io sono un berlinese, disse John Fitzgerald Kennedy nel suo discorso alle spalle al Muro; Ich bin ein Berlino, annuncia la maglietta di Usain. Ogni epoca ha i suoi valori, i suoi simboli.

Il tabellone offre il verdetto, la realtà delle cose. Bolt 19.19, la novità Alonso Edward (di Panama, aggrappata sul Caribe delle meraviglie) a 62 centesimi (!), Wallace Spearmon americano a 66: a quella velocità sette, otto metri indietro. Altri due sotto i 20.0, Crawford, l’americano che sembra un culturista, e Mullings, giamaicano come il Lampo. E c’è qualcuno che scuote la testa: sì, record del mondo, certo, ma già che c’era non poteva essere tellurico sino in fondo, smontare il muro dei 19.0? Gli incontentabili, gli schizzinosi meriterebbero un girone infernale se non è bastato loro 9.92+9.27, la freccia che attraversa le dodici scuri, come quella scagliata da Ulisse, il breve tratto a 44 orari.

Bolt rompe tutto, anche i piani del tempo, e riporta all’avvicinarsi dello show. I tifosi arrivano due ore e mezzo prima, ritmando nome e cognome, reggendo uno striscione davanti al petto, come nelle manifestazioni: Bolt, Legend. Sono bianchi, i conquistati, i caduti in amore, i bruciati dalla Folgore. E in tribuna va a prender posto la ministra dello sport di Giamaica, una donnona dalla camicetta giallo e verde bandiera, tutta sorrisi e orgoglio perché Berlino fa rima con Pechino, e sulla curva si forma la torcida di Giamaica: trecce rasta, allegria, passi di danza, attesa sotto il sole che brucia. Non è un problema per chi viene dall’isola nel sole, come la chiamarono in un vecchio film con Harry Belafonte e il reggae non c’era ancora, solo il calypso. Colpo d’occhio da mondiale, finalmente: Olympiastadion da 60.000 abbondanti. Solo sulla curva dove i raggi battono come su un’incudine non si avventura nessuno, sino all’arrivo di una lama d’ombra.

Sulla gara non c’è quota: le scommesse sono sul distacco che lui, il Lampo, darà al secondo (a Pechino, l’abisso di 66 centesimi), sono sul record del mondo da portare a dimensioni siderali, impraticabili per i mortali. Ed è anche il rimprovero mosso a Usain: ha ucciso lo sprint, lo ha plasmato a sua immagine e somiglianza, divina, sovrumana, da super-eroe che resiste alle sollecitazioni della velocità estrema.

Per chi, soldato di ventura, batte il circuito dell’atletica offrendo la mercanzia di un 10.10 sui 100, di un 20.40 sui 200, l’attenzione sarà sempre più sbiadita e i confronti impietosi: quanti metri prendi da Bolt? E clessidra dopo clessidra, come nella vecchia Olimpia, il tempo passa e il sole è sempre feroce e incalza la stessa domanda a cui solo lui può rispondere: tirerà come un Ice, che qui sono i treni ad alta velocità, continuerà nel suo cammino di coincidenze temporali? Il 16 agosto è già un caposaldo (9.69 e 9.58 in 366 giorni), lo diventerà anche il 20 agosto, così come il 21, giorno del 23° compleanno. E succede tutto quello che era nelle attese.

Nave stellare Aldebaran, rapporto relativo all’invio sulla terra dell’androide UB: “La creatura sta mostrando evidenti progressi, sia in velocità che in tenuta. Al suo ritorno alla base, necessaria una revisione per allargare l’area di azione”. Solo che l’androide allegro ormai fa da solo, in totale autonomia, è in grado di programmare il tempo che verrà, di provare ambizioni, darsi traguardi, pulsioni esclusivamente umane. “Toccherà a lui fare in modo che mi convinca a correre i 400. Io per ora tento di star lontano da quest’eventualità, ma sapete...”, fa con la sua voce profonda Usain indicando con il mento Glen Mills, l’omone che lo ha reinventato: c’era un giovane talento afflitto da infortuni, destinato a mantenere solo una piccola parte delle dickensiane grandi speranze che aveva suscitato ragazzino. Mills ne ha fatto Il Più Grande. E ora sta decidendo se iniziare la stessa opera di convinzione che due anni fa ha trasformato Usain duecentista anche in sprinter breve. Già partiti i calcoli, a palmi, a spanne, piuttosto affascinanti. Cosa può costare a Bolt passare in 20.5 e chiudere in 22 secondi? Siamo a 42.5. Tutta teoria, tutti programmi durati come una farfalla. Come il Bolt lunghista.

Usain aveva un fisicone sin da ragazzo, quando faceva il bowler nella squadra di cricket del college di Trelawny e si divertiva ad andare in pista. Primo tempo conosciuto, 51.7 sul quarto di miglio, proprio i 400. Per i giamaicani, la distanza: la loro gloria cominciò con i Cavalieri del Sogno, i dominatori della 4x400 a Helsinki ’52 dopo l’atterramento voluto dal fato quattro anni prima. “Usain Gold”: bel titolo di un giornale tedesco. “Mi stupisco di come sia andata a finire: non ero nella forma di un anno fa a Pechino. Avevo perso qualche settimana di lavoro dopo l’incidente di macchina, a marzo: BMW distrutta e piede dolorante. A parte questo, mi dicevo anche che non è facile ripetersi. E invece... Il fatto è che niente è impossibile, specie quando si ha a che fare con uno come Glen, il migliore allenatore del mondo”.

Le ore in cui, dopo averlo ascoltato, si rovista fra i numeri, con una scoperta dietro ogni passo di corsa: 8.84 nel tratto centrale, tra i 50 e i 150. Odora di limiti umani, quelli che nei 100 con partenza dai blocchi Usain individua attorno ai 9.40, “ma non ho detto che sarò io a correrli, ho solo detto che può essere la frontiera finale”. C’è anche un angolino per la commozione: capita alla premiazione quando il pubblico canta happy birthday to you e Usain sparge qualche lacrima.

Dopo, ha continuato a vincere molto e a promettere record che neppure lui poteva pretendere. Berlino, quando confabulava con l’orso Berlino - tra di loro grande cordialità - rimane il suo apogeo e quello di molti che lo videro provando, più che isterica eccitazione, qualcosa di simile alla visione di un uomo che cadde sulla terra: non era Bowie, era Bolt.

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Bolt davanti al tabellone del nuovo record: 19.19 (foto archivio Colombo/FIDAL)


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